
Il caffè è caldo ma troppo, la tazzina intoccabile. È lì, giace sul bracciolo a pochi centimetri da me, dove posso sentirne il calore pur non toccandola e l’aroma pur tenendola lontana quel tanto, sufficientemente lontana dal mio naso. Giace pericolosamente sulla lucida superficie in legno del pomo, ferma, equilibrista senza desiderarlo essere, instabile senza volerlo, consapevole del rischio che un mio maldestro movimento possa urtarla, rompere l’equilibrio e lasciare che rovesci se stessa in quel volo d’un impercettibile attimo che separa il bracciolo dal pavimento. Poco alto qualcuno penserebbe, alto abbastanza per defragrare in una nube composta da migliaia di oggetti cosmici e il caffè scia nera e rilucente ne seguirebbe inesorabilmente le sorti. La tazzina è terrorizzata, lo sento, il caffè allo stesso modo. Il loro timore è nella mia testa pesante del breve sonno, pensano con la mia testa pesante sul mio corpo pesante che giace informe come un cappotto lasciatosi cadere pesante sul divano. Pensano con la mia testa, luogo migliore dove costruire e incubare presentimenti, presagi e paure e loro lo sanno che per l’occasione non potevano trovare testa migliore. La luce che dalla vetrata entra senza bisogno d’alcun invito, prende sempre più possesso del volume della stanza, il tempo non rallenta d’un minimo neanche a pregarlo. Mi dico che è il momento. Allungo quel tanto la mano e della mano le dita per prendere tra indice e pollice il piccolo manico ceramico e nel preciso istante avverto come in un barlume l’impercettibile increspatura sulla superficie del caffè, la paura manifesta, la realizzazione di quanto la mia testa custodiva. Bevo il caffè, per lui la ritrovata pace. (luca)
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Vorrei semplicemente descrivere quello che vedo, non altro non mi interessa inventare mi piace camminare e mi piace guardare voglio guardare questi alberi quieti e pazienti, dalle belle fronde, che vivono silenziosamente e respirano l’aria accanto a me, mentre io sono qui loro sono là, mentre io li guardo loro mi sentono, e stanno attenti a me come io sto attento a loro, voglio sdraiarmi, e dormire mentre loro stanno in piedi, e mi guardano oppure pensano a cose loro gli succedono cose che io non so e vorrebbero dirmele, e me le dicono, anche oppure anche loro dormono senza sdraiarsi, stando in piedi, dormono uno accanto all’altro, stando semplicemente accanto. Claudio Damiani
Versi tratti da Poesie, Fazi Editore, 2010. Pag 146 di 176