Qualche passo più indietro.
Mattino, un letto. La reticente luce, l’oscurità diradata. | Torna qualcosa, non per molto. | Silenzio fuori. Silenzio dentro. | Occhi aperti – si fa per dire. | L’impertinente fischio d’aria penetrante nelle narici. | Il petto pieno ad ogni respiro, il vuoto nel ventre. | Il battito pungente, lento, delle palpebre. | Braccia e mani distese, ferme, gambe distese, ferme; | torna qualcosa: | torno a ruotare lento la testa, | torna ad apparire il soffitto in penombra, | tornano ad emergere gli oggetti intorno, | torno a realizzare che in fin dei conti sono sveglio, | in fin dei conti è un nuovo giorno. | Torna ad apparire il lampadario nel centro, | torna ad apparire la spigolosità della stanza, | il vuoto sovrastante, | l’inutile pienezza sottostante. | Vitalità, torna! | mai vissuta. | Torna, energia! | mai bruciata. | Voglia di sorprendermi, torna! | mai sei stata appagata. |Torna, voglia di fare! | mai ti sei realizzata. | Torna, voglia di disfare! | mai hai preso coraggio. | Torno a sedermi sul bordo del letto, a ritrovare le forze, | torno a rimettere i piedi per terra, | torno a muovere le dita delle mani, a rodare le dita dei piedi, | torno a trovare slancio per sollevarti. | Torno a guardarmi intorno. | Torno a rifare quanto fatto ieri e ieri l’altro e magari farò domani, ancora. | Torno alla finestra con occhio rapace dell’aria mattutina. | Torna il desiderio di caffè | – che qualcuno dovrà pur fare.
Non torna questa voglia di sputare in basso, | colpire a sputi uno, due, cento uomini, fino a saliva conclusa. | Non torna questa rabbia utile mai provata prima, | non torna un urlo mai sfogato prima. | Alcune cose tornano, altre meno, altre non tornano affatto. | Torna la voglia di ritornare supino sul letto, qualche passo più indietro, | il desiderio di spegnere la luce del giorno nato, | braccia e mani ferme ai lati, disteso, remissivo. | Qualcosa torna, solo qualche passo più indietro. (luca)
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Assolo Unico superstite di una razza ancora da nascere, nell’orrendo tentativo di abbracciarmi, io mi sento: male, ma mi sento. Un albero cui manca la forza di tenere su le foglie, un paio di scarpe senza nessuno dentro, un uomo senza figli, un impotente con mille bambini, ancora senza basta. Avevo un cuore che la camicia non riusciva a nascondere. È stato in un fosso sotto i gelsi di more mature fino al sangue, o sul divano di un salotto di cui ricordo solo una canzonetta alla radio, o forse è stato mangiando una mela o una pera, e magari fosse stata anguria! che già al solo pensiero la preferisco. I ricordi hanno strani sapori che nemmeno l’aglio allontana. Ma il silenzio, vuoi metterlo, quello di due persone che non hanno il coraggio di dirsi! Ecco, deve essere stato proprio lì che mi sono accorto d’essere uno che messo vicino ad un altro non fa due. Non sono solo un uomo ma un uomo solo! Fabio Garriba (1944-2016)
Versi di Fabio Garriba tratti da “Il fastidio delle parole – Poesie 1959-2015”, La nave di Teseo edizioni, 2018