
La luce, soverchia, sferza sulle mie due piccole pupille, due sfere oculari pralinate con sabbia e terra, il chiarore dolente del primo mattino. Le palpebre tremanti rifiutano di aprirsi al mondo. Avverto l’assenza di sole, un punto di cielo velato sopra la mia testa, al di là della lastra di vetro di questa veranda. Avverto la presenza di vita tra gli alberi, tra la chioma della vasta magnolia che so davanti al mio finito orizzonte. Gli occhi chiusi al mondo non bastano per isolarmi completamente. Ascolto lo stridulo di un qualche uccello di cui ignoro nome ed esistenza. Sa essere piccolo, invisibile e chiassoso, è quello che mi viene da pensare. Sono sprazzi di suoni, di canti qualcuno direbbe, avvolti in un qualcosa di più forte: la forza fondamentale che avvolge il tutto: c’è silenzio. C’è silenzio. C’è silenzio e lo benedico. Un silenzio arrivato da mesi come manto pesante giù per la strada. C’è silenzio fuori come in questa casa, lo respiro, lo tocco con gli occhi che un po’ per volta accettano il giorno. C’è silenzio dentro e fuori. Un uccello canta ed è silenzio, il mio dito batte sul vetro ed è silenzio. Tra un insensato pensiero ed un altro è il silenzio. Dio, io lo benedico.
So che la caffettiera è a pezzi, in un angolo ed aspettare che io la ricomponga, che la gratifichi con della fresca acqua, con l’aroma della polvere di caffè. Non so come io sia riuscito ad arrivare dal letto sino a questo angolo, poggiato al freddo infisso della veranda ma so di certo che non arriverò mai a rimettere in sesto nessuna moka. Nessuna forza oscura avrà l’ardire di sospingermi. La macchina per l’espresso è più vicina, poco più d’un braccio da me. L’impresa è comunque ardua ma il silenzio appagante, tanto che la leggerezza nelle gambe ne diventi irrilevante, tanto che gli occhi, deboli, possano smettere di lottare contro la luce, tanto che il surreale vuoto di questi smisurati giorni possano acquistare importanza, un qualche senso. Il silenzio avvolge un canto, un impercettibile fremere di rametti, ali e foglie, un moto di luce leggera e di ombre che planano, un muto vento di sentimento interiore che soffia vita a questo giorno e sono qui poggiato al freddo d’un infisso e potrei restarci in eterno. Questo silenzio, finché resiste, non lo voglio sprecare.
perché io non voli, purché tu non
cada, purché la luce si faccia tutt’un
universo, ch’io dorma, nell’infortunato addio.
E che la tua gioconda veste di Sposo ti
ravvolga, che sia come per i Santi l’Unica
Cena, quel tuo sospirare senza sonniferi. Non vi è luce
senza gloria, e non vi è inferno
senza diffamazione. L’arido orizzonte
è un gioco di ombre: non seguirlo, non
tirare il sasso nell’acqua, – che tutto si
faccia da sé, anche nell’agonizzante silenzio.
Amalia Rossetti (Perch’io non voli…)
da Le Poesie (Garzanti, Gli Elefanti – 1997)